venerdì 21 gennaio 2022


Ciao a tutti!

è trascorso un mese dal primo giorno d'inverno e durante queste giornate ho buttato giù un breve racconto, soprattutto in quelle in cui la pioggia non smetteva di scendere;) Si tratta di una storia ambientata in una piovosa giornata invernale e con protagonista una quercia centenaria, che permette un incontro. Spero di avervi incuriosito abbastanza da proseguire la lettura del racconto "Sotto la quercia"...;)

"Sotto la quercia"

Il rumore di un’auto ruppe il silenzio che regnava nel parco, mentre Barbara vi entrava sospirando e facendo roteare il manico dell’ombrello. Le gocce di pioggia schizzarono da tutte le parti e lei osservò i colori arcobaleno della tela, sollevando leggermente verso l’alto gli angoli delle labbra, che ingentilirono l’espressione triste del suo viso.

Un’altra auto sfrecciò accanto al parco e Barbara smise di roteare l’ombrello e accelerò il passo. I viali e le aree verdi del parco erano desolati, perché la pioggia da tempo non dava segni di voler smettere.

Barbara si diresse verso il luogo, in cui si sentiva bene.

Nell’immensa aiuola centrale padroneggiava una quercia centenaria, che con i suoi rami aperti sembrava voler accogliere chiunque l’avesse notata. Lei sorrise e si fermò davanti alla grossa circonferenza del tronco. Subito allungò una mano e sfiorò con la punta delle dita la corteccia ruvida e impregnata di pioggia. Barbara chiuse le palpebre, inspirò ed espirò ritrovando la calma, che aveva perso in ufficio.

Fin da bambina riusciva a calmarsi sfiorando la quercia più antica del parco. Davanti al suo tronco o sotto i suoi rami Barbara aveva vissuto qualsiasi avventura. Quella quercia, se avesse potuto parlare, avrebbe potuto svelare qualsiasi segreto di Barbara e di chissà quante altre persone.

Lei sospirò e aprì le palpebre inclinando il collo all’indietro. Ora la quercia stava riposando, come faceva ogni inverno, e Barbara la trovava più affascinante che mai, nonostante non avesse più le sue lussureggianti foglie. Quattro enormi rami si aprivano sopra il tronco e da questi una miriade di altri rami si distribuivano in ogni dove, rivolgendosi verso il cielo grigio. Una goccia di pioggia cadde sul viso di Barbara, che rimase senza fiato e subito dopo rise coprendosi la testa con l’ombrello. Accarezzò un’altra volta la corteccia e poi si portò il polso davanti agli occhi. Mancavano dieci minuti alle quattro e non aveva voglia di ritornare a casa, da quando i suoi genitori si erano trasferiti in campagna, lasciandola da sola in città.

Barbara sbuffò all’idea di raggiungere l’appartamento vuoto e una raffica di vento la investì piegandole con decisione l’ombrello da una parte. Quando riuscì a raddrizzarlo, alzò le spalle per proteggersi dal freddo che era passato sotto il suo giubbotto. Barbara si sistemò la sciarpa e, dopo aver sbirciato per un ultimo secondo la quercia, risalì il viale per uscire dal parco.

Oltrepassati i grandi cancelli, la ruota di un’auto centrò in pieno una pozzanghera investendo con l’acqua gelida e sporca Barbara che rimase senza fiato per il freddo.

«Ma guarda che deficiente!» esclamò una voce alle sue spalle.

Barbara si girò osservando una figura coperta da una cerata blu scuro, che si fermò al suo fianco e le chiese:

«Come si sente? Ho visto che l’ha centrata per bene».

Barbara abbassò lo sguardo sul giubbotto ecru schizzato di fango. Con un sospiro guardò la figura e le rispose:

«Mi sento…parecchio zuppa».

«Sa cosa ci vuole?» la incalzò poggiando una mano sulla sua spalla.

Barbara spostò lo sguardo dalla mano della figura al volto, celato dal cappuccio della cerata, e corrugò la fronte. La figura ridacchiò e la rassicurò togliendole la mano dalla spalla:

«Non pensi che io sia un serial killer»

«Oh, non lo pensavo», bofonchiò Barbara stringendo forte il manico dell’ombrello.

La figura scoppiò in una fragorosa risata, facendo fare un passo indietro a Barbara, e riprendendosi alzò i palmi in alto dicendo:

«Non si spaventi. Mi chiamo Riccardo e volevo solo suggerirle un rimedio per superare questa…disavventura».

Barbara inclinò il capo da un lato e gli domandò:

«E quale sarebbe il rimedio per superare il…bagno da pozzanghera?».

Riccardo ridacchiò e le rispose:

«Una bella cioccolata calda e…».

Si interruppe e Barbara, sollevando un sopracciglio, lo incalzò:

«E?»

«E una bella chiacchierata con qualcuno».

«E mi faccia indovinare…quel qualcuno sarebbe lei?!» lo canzonò indicando con l’indice la figura nascosta.

La testa salì e scese più volte e la voce replicò con una punta di ironia:

«Precisamente! Sono un ottimo coadiuvante, assieme alla cioccolata calda, per risolvere i bagni da pozzanghera».

Barbara ridacchiò e, dopo aver fatto scorrere lo sguardo sulla cerata e sui jeans blu scuro che nascondevano dei Camperos, accettò guardando il buco scuro del cappuccio:

«E cioccolata calda sia!».

«Perfetto! Per di qua!» esclamò allungando il braccio verso l’attraversamento pedonale.

Rimanendo affiancati raggiunsero la passeggiata del Lungomare, mentre onde bianco sporco e grigio si abbattevano rosicchiando la piccola lingua di spiaggia. Il profumo intenso di sale invase le narici di Barbara, che ricordò le giornate invernali trascorse con nonna Clotilde a guardare il mare tumultuoso.

In lontananza si profilò un gazebo in legno scuro, su cui capeggiava l’insegna luminosa Salsedine. Barbara sorrise per come il nome del bar si addicesse a quella giornata, in cui il mare stava spargendo sale in ogni dove. Un tepore caldo l’avvolse e anche gli arredi di varie gradazioni di marrone le diedero la stessa sensazione.

«Che bel posto!» ammise avvolgendo la tela dell’ombrello con il suo laccetto.

«In questo locale si trova la cioccolata calda più buona della città» le spiegò Riccardo appendendo la sua cerata sullo schienale della sedia.

Barbara si girò osservando i fluenti capelli castani, che incorniciavano il volto dell’uomo, e sorrise agli ironici occhi grigio scuro. Riccardo alzò una mano e ordinò all’uomo indaffarato dietro al bancone:

«Ci porti due cioccolate»

Appena ricevette il gesto d’assenso, si sedette e sorrise a Barbara chiedendole:

«Come ti senti dopo il bagno da pozzanghera?»

«Bene…soprattutto dopo il tepore di questo bellissimo bar» disse sedendosi, mentre i suoi occhi scrutavano i dettagli del locale.

Il barista depose due fumanti tazze bianche e Barbara circondò la sua con le mani; invece Riccardo ne bevve subito un sorso. I due si osservarono per qualche secondo e lui le domandò:

«Cosa ci facevi sotto il diluvio universale davanti alla quercia?»

Barbara sgranò per un istante gli occhi e gli confidò:

«Sembrerà da pazzi, ma…io vado sempre davanti alla quercia, soprattutto quando sono giù di morale»

«Davvero?!»

«Sì…e d’inverno la quercia è ancora più bella e in pratica ha visto tutta la mia vita» gli confessò stringendo con le mani il calore della tazza.

Riccardo la guardò per un po’ e poi le disse con un mezzo sorriso:

«Anch’io ho vissuto tante avventure davanti alla quercia e…devo dirti che ero arrabbiato, quando ti ho vista davanti a lei. Credevo che in una fredda giornata d’inverno non ci fosse nessuno e potessi stare lì a prendere la sua energia per non sentirmi più stressato»

Barbara sgranò gli occhi, incredula che la quercia fosse l’antistress di qualcuno oltre a lei. Abbassò lo sguardo sulla cioccolata calda e bisbigliò:

«Scusa…»

«Ti perdono se mi racconti qualche tua avventura vicino alla quercia»

Barbara riportò lo sguardo su Riccardo, che le sorrise, e allargando le labbra in un sorriso iniziò a parlare. Il resto della serata Riccardo e Barbara la trascorsero raccontando le loro avventure sotto la quercia, mentre l’inverno imperversava con la sua aria gelida fuori dal locale.


Fine

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